Ci sono luoghi che non si visitano solo per ammirarne la bellezza, ma per ascoltarne la voce. Il Lago di Aral, incastonato tra l’Uzbekistan e il Kazakistan, è uno di questi.

Visitare il Lago di Aral significa percorrere le tracce di uno dei più gravi disastri ecologici del ventesimo secolo, ma anche esplorare una regione unica dell’Asia Centrale che, tra deserti salati, città fantasma e panorami surreali, racconta una storia di perdita e di trasformazione.

Un tempo mare interno brulicante di vita, oggi il lago si presenta come un paesaggio onirico e spettrale: carcasse di pescherecci incagliati nella sabbia, saline punteggiate di arbusti, villaggi abbandonati e silenziosi. Eppure, in mezzo a questa desolazione, qualcosa si muove. Ci sono iniziative di recupero, musei che custodiscono la memoria, e una comunità locale che, con fatica e ingegno, sta cercando di riscrivere il proprio futuro.

Ciao io sono Laura, fondatrice de I Weekendieri e dopo aver visitato in prima persona questa terra sospesa tra distruzione e rinascita, ti porterò a scoprire dove si trova il Lago di Aral, com’era prima e com’è oggi, la storia del suo prosciugamento, e soprattutto come arrivare al Lago di Aral dall’Uzbekistan, vivendo un’esperienza autentica e fuori dalle rotte comuni.

Lago di Aral: storia di un disastro ambientale

Lago di Aral prima e dopo

Fino agli anni ’60, il Lago di Aral era un simbolo di prosperità per l’Asia Centrale. Situato tra l’Uzbekistan e il Kazakistan, il Lago di Aral non è che un’ombra del bacino d’acqua che un tempo occupava una superficie di quasi 69.000 chilometri quadrati. Era il quarto lago salato più grande del mondo, alimentato dai fiumi Amu Darya e Syr Darya, e sosteneva una fiorente economia locale basata sulla pesca, con flotte attive e stabilimenti di lavorazione nelle città portuali di Moynaq e Aralsk.

Questo posto racconta una trasformazione drammatica, dalle acque pescose e vitali si è passati a un paesaggio desertico e sterile. Il lago ha perso oltre il 90% della sua superficie, il livello dell’acqua si è abbassato di circa 25 metri, e la salinità è aumentata al punto da sterminare ogni forma di vita marina. Le rive si sono ritirate fino a 150 chilometri dai loro punti originari, trasformando il letto prosciugato in un nuovo deserto, l’Aralkum, segnato da sabbia salata e polveri tossiche.

A Moynaq, oggi una città quasi fantasma, ciò che resta della gloriosa flotta peschereccia sono carcasse arrugginite adagiate sulla sabbia. Guardare le  immagini del prima e dopo  del lago di Aral mostra in modo inequivocabile l’estensione del disastro. Dove un tempo c’erano onde e gabbiani, oggi ci sono arbusti, silenzio e un’aria carica di sale e di memorie.

L’impatto di questo cambiamento non è stato solo ambientale, ma anche sociale. Comunità intere hanno perso il loro sostentamento, costrette ad abbandonare villaggi, porti e attività economiche, mentre l’evaporazione delle acque ha lasciato spazio a un suolo contaminato da fertilizzanti e pesticidi, che il vento diffonde anche a chilometri di distanza, con conseguenze sulla salute delle popolazioni locali.

La storia del lago di Aral è quella di un ecosistema spezzato, ma anche di un’umanità che cerca, con fatica, di conservare la memoria di ciò che era, e forse, di ricostruire un futuro.

Perché si è prosciugato?

Per comprendere a fondo la storia del Lago di Aral, bisogna risalire agli anni ’50 e ’60, periodo in cui l’Unione Sovietica lanciò un ambizioso — e devastante — piano di sviluppo agricolo. L’obiettivo era chiaro: trasformare le aride pianure dell’Asia Centrale in campi di cotone a perdita d’occhio, facendo dell’Uzbekistan uno dei principali produttori al mondo.
Ma per coltivare il cotone, pianta estremamente assetata, serviva acqua. Tanta acqua.

Fu così che vennero deviati i due grandi fiumi che alimentavano il bacino, l’Amu Darya e il Syr Darya. L’acqua che per millenni aveva nutrito il Lago di Aral venne incanalata in un reticolo di acquedotti mal progettati, con perdite lungo il percorso stimate tra il 30% e il 70%. Nel giro di pochi anni, il bilancio idrico del lago collassò, l’evaporazione naturale non era più compensata dall’afflusso dei fiumi.

Inizialmente sottovalutato, questo intervento segnò l’inizio della fine. Tra il 1960 e il 2000, il livello dell’acqua si abbassò in media di 80 cm l’anno, e nel 2007 il lago aveva già perso circa il 90% della sua superficie originaria. Alcune aree si ritrovarono a oltre 200 chilometri dalla costa, e gli ecosistemi che un tempo popolavano il bacino vennero completamente spazzati via.

Ma non finisce qui. Con la riduzione delle acque e l’aridità crescente, il suolo divenne sempre più salino e instabile. I fertilizzanti e pesticidi usati per la monocoltura intensiva finirono per infiltrarsi nel terreno e nel letto prosciugato del lago, trasformando l’intera area in un deserto tossico. Le tempeste di sabbia che oggi attraversano il Karakalpakstan trasportano polveri cariche di sostanze chimiche, contribuendo a un aumento significativo di malattie respiratorie, renali e dermatologiche tra le popolazioni locali.

La tragedia del Lago di Aral non è il frutto di un disastro naturale, ma l’esempio più chiaro e brutale di come l’intervento umano, guidato da logiche produttive miopi e prive di visione ecologica, possa distruggere un ecosistema millenario. Un errore pianificato, come dichiarò senza mezzi termini uno dei responsabili sovietici dell’epoca: “Il mio scopo è quello di far morire serenamente il Lago di Aral”. Non fu una morte serena. E le sue conseguenze sono ancora tutte visibili.

Come arrivare al Lago di Aral dall’Uzbekistan

Visitare il Lago di Aral richiede un pizzico di spirito d’avventura, ma proprio per questo il viaggio diventa parte integrante dell’esperienza. Non è una meta da raggiungere al volo, ma un percorso che ti accompagna lentamente in un paesaggio che cambia chilometro dopo chilometro, fino a svelare la sua anima più autentica.

Il punto di partenza più comodo per arrivare al Lago di Aral è Nukus, la capitale del Karakalpakstan, nel nord-ovest dell’Uzbekistan. Da qui iniziano la maggior parte dei tour verso Moynaq e la zona desertica dell’ex lago. Nukus è ben collegata al resto del paese: si può raggiungere in aereo con voli interni da Tashkent, oppure in treno da città iconiche come Bukhara, Samarcanda e Khiva. I treni notturni sono un’opzione economica e suggestiva, perfetti per chi vuole vivere il viaggio con lentezza. Le cuccette in cabine private, pulite e tranquille, offrono un ottimo compromesso tra comfort e autenticità.

Una volta a Nukus, puoi scegliere tra due alternative per proseguire verso Moynaq, l’ex città portuale diventata oggi simbolo del disastro ambientale del Lago di Aral:

  • Autobus locale (marshrutka): parte ogni mattina alle 9:00 dalla stazione ovest (avtovokzal Sarancha). Il biglietto costa solo 25.000 som (meno di 2 euro) e il viaggio, seppur spartano, è un’immersione nella quotidianità uzbeka. Non aspettarti aria condizionata o posti numerati, ma preparati a condividere il tragitto con famiglie locali, borse di verdura e racconti di vita.
  • Taxi privato: più veloce e flessibile, può costare intorno ai 500.000 som (circa 35-40 euro), ma è contrattabile. È la scelta ideale se preferisci gestire i tempi con calma o prevedi tappe fotografiche lungo il tragitto.

Da Nukus, puoi scegliere anche dei tour privati che ti accompagnano al Lago di Aral, sia per più giorni

Oppure, sempre da Nukus, puoi visitare in un giorno il cimitero delle navi di Moynaq:

Da Moynaq, per visitare il Lago di Aral nel suo attuale aspetto, cioè quello più remoto, crudo e affascinante, servirà un fuoristrada. Sono necessari circa 100-130 km di sterrato per raggiungere la nuova linea di costa. I tour in 4×4 attraversano l’altopiano di Ustyurt, una distesa rocciosa scolpita da secoli di erosione, con pareti a picco e vallate spettacolari che sembrano uscite da un film di fantascienza.

Durante il tragitto, potrai fermarti al cimitero delle navi di Moynaq, visitare il piccolo museo del lago, salire su una piattaforma panoramica e poi, lentamente, scendere verso il silenzioso campo di yurte affacciato sul nulla. Qui il tempo si ferma. Le stelle sembrano più vicine, il vento racconta storie antiche e l’eco del lago perduto si fa sentire tra le dune.

Chi desidera può spingersi ancora più a nord, verso le zone meno esplorate della costa, ma è necessario essere accompagnati da guide esperte e viaggiare con bombole di carburante extra. Il percorso può essere esteso fino al lago Sudochie o alle rovine della fortezza di Kurgancha-Kala, per un’immersione totale nel Karakalpakstan più remoto.

Arrivare al Lago di Aral significa uscire dai circuiti classici e abbracciare l’essenza del viaggio: lentezza, sorpresa, e una profonda connessione con un territorio che, pur segnato dalla tragedia, continua a raccontare la sua storia con dignità.

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lago di Aral Uzbekistan

Perché visitarlo

Visitare il Lago di Aral non significa semplicemente aggiungere una tappa insolita al proprio itinerario in Uzbekistan. È un viaggio nella memoria collettiva, un cammino dentro un paesaggio che scuote, che parla, che lascia tracce nell’animo di chi lo attraversa. È il tipo di luogo che ti interroga più che raccontarti, che ti mostra cosa succede quando si piega la natura a logiche sbagliate e quando, a distanza di decenni, si tenta ancora di ricucire le ferite.

A Moynaq, una volta animata città portuale, oggi tutto è silenzio e malinconia. Passeggiando tra le carcasse delle navi abbandonate, incagliate in un mare che non c’è più, ci si trova in uno scenario che sembra uscito da un sogno distopico. Il piccolo museo del Lago di Aral raccoglie foto d’epoca, testimonianze scritte e manufatti che raccontano con forza visiva la vita prima della catastrofe: pescherecci, famiglie, traffico commerciale. Tutto svanito.

Ma questo luogo è anche un potente simbolo. Il contrasto tra ciò che era e ciò che resta offre una lezione chiara: non esiste sfruttamento delle risorse naturali senza conseguenze. La sabbia oggi ha preso il posto dell’acqua, le barche giacciono immobili come testimoni di un errore annunciato, e l’aria, densa di polvere e sale, accompagna il passo dei viaggiatori lungo un percorso che è più interiore che fisico.

Intorno a Moynaq, il paesaggio si apre in una desolazione straordinaria. Il Karakalpakstan, regione aspra e affascinante, è caratterizzato da estati roventi, inverni rigidi e una luce che taglia il deserto con intensità quasi cinematografica. È una terra che un tempo accoglieva carovane lungo la Via della Seta, e che oggi conserva ancora, nel suo silenzio, un’eco profonda di quella vitalità perduta.

Eppure, non tutto è immobile. A Nukus, città d’arte nel nulla, si trova il Museo Savitsky, uno scrigno sorprendente che ospita la seconda collezione d’arte moderna più importante dell’ex Unione Sovietica. Dipinti nascosti per decenni alla censura sovietica oggi trovano spazio in questa oasi culturale, tra le più remote al mondo.

Seppur ridotto, sta mostrando segnali di vita. Nella parte kazaka, il progetto Syr Darya Control and Northern Aral Sea ha riportato acqua nella sezione settentrionale del bacino, aumentandone il volume del 42%. La salinità è diminuita di quattro volte, e con essa è tornata la pesca, che oggi offre nuova speranza alle comunità locali. È un piccolo miracolo di ingegno e collaborazione internazionale, che dimostra quanto sia possibile invertire la rotta, se si sceglie di farlo.

In definitiva, visitare il Lago di Aral è un’esperienza intensa e significativa. È un viaggio che parla di errori passati, ma anche di possibilità future. Di desolazione, ma anche di resilienza. Un luogo dove la natura e l’uomo si confrontano in un dialogo profondo, che merita di essere ascoltato.

Conclusioni

Il Lago di Aral non è una destinazione qualunque. È uno di quei luoghi che ti costringono a fermarti, a guardare oltre la superficie, a ripensare il rapporto che abbiamo con il pianeta. È un viaggio che parla di errori, ma anche di possibilità di rinascita. Ti accompagna attraverso deserti salati, silenzi assoluti, storie di uomini e donne che non hanno abbandonato le loro terre, nemmeno quando il mare si è ritirato.

Visitare il Lago di Aral oggi significa dare un volto a ciò che spesso resta astratto: il cambiamento climatico, le conseguenze dell’intervento umano sull’ambiente, la fragilità degli ecosistemi. Ma significa anche celebrare la resilienza, l’identità di una regione che, nonostante tutto, ha saputo reinventarsi.

Che tu parta per curiosità, per sete di conoscenza o per desiderio di avventura, il Karakalpakstan ti accoglierà con la sua bellezza dura, con il vento che solleva la sabbia e con gli occhi fieri di chi lì vive ogni giorno.

Ora tocca a te. Inizia a pianificare, scegli il tuo percorso, prepara lo zaino. Il Lago di Aral ti aspetta — e una volta visto, non potrai più dimenticarlo.

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Laura Zampetti

Ciao, sono Laura Zampetti la fondatrice del blog www.weekendieri.com.
Una Weekendiera nata, una vera appassionata dei weekend fuori porta e di viaggi.
Ogni fine settimana vado a esplorare la nostra bella Italia per trovare posti sempre nuovi da proporvi.
Sono Travel Blogger da circa 5 anni dopo essermi licenziata da un lavoro in banca che non mi dava soddisfazioni.
Con il progetto de I Weekendieri voglio dimostrare a tutti che con anche solo 2 giorni a disposizione si possono vivere grandi esperienze!

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